lunedì 22 ottobre 2012

Titoli di coda

Libro terminato.Mano ferma.
Brividi che s'inceppano.

Dentro a questo film, i titoli di coda sono sfocati, non definiti, fibrillosi.
- La retroilluminazione manca, non riesco a vedere nulla, nemmeno l'ombra di quella che, alla fine, sarebbe risultata la mia storia. E sono già alla fine, eppure manca ancora tutto; mi manca anzitutto l'ispirazione, l'ispirazione di vedere quello che sarebbe stato, e di quello che invece non è.
Credo fermamente in tutto quello che non ho fatto e vedo in lontananza tutto ciò per cui ho lottato, sfumato e sfocato, sulla linea dell'orizzonte.
Dovrei riscrivere, tutto; forse. Ma sono arrivata troppo oltre, mi sono spinta troppo in là, troppo oltre i confini della mia personale comprensione e cognizione delle cose.
E così ho conosciuto il piacere di stare sola, quello di parlare con me stessa, senza mediatori; e senza troppe catene.
Ho rotto tutti gli argini e sono straripata dentro le rive di quel mare che detesto, ma che mi ha dissetato; troppo salato, da cui ero pur sempre dipendente e cieca di fronte alle sue onde.
Quei movimenti che mi rimbalzavano nello stomaco e che sopragiungevano quando ero giù, e mi riscuotevano, e mi animavano,e mi violentavano l'anima. E mi percuotevano, e così diventavo cieca, di fronte al mio nome. E allora mi lasciavo accarezzare, mi lasciavo ammorbidire da quella schiuma bianca, che lambiva i confini, seppur instabili, del mio sguardo, e mi riconduceva là, dove temevo di essermi persa.

Il Vuoto, la Vita, il Vero, la Visione dall'alto.


Bellissima la sensazione di cadere, a due passi dal vuoto, a mille miglia dalla strada, a un soffio dall’infinito.
L’universo, come petali di rose rosse, turbina accanto, e riscalda le mie membra impaurite dal volo.
Cerco un volto, forse il tuo, forse la fusione dei nostri; forse cerco semplicemente un nome da assegnarti, il mio non lo ricordo più.
Potrei identificarmi con qualsiasi cosa, nei passi di un bambino o nell’ultimo respiro di chi si trova in fin di vita. All’estremo, potrei identificarmi con un Sé fasullo, ma finirei solo per coprire di menzogne le menzogne.
Nell’identificazione sta tutta la ricerca dell’Io, perché a volte è più preoccupante il nome e non l’essenza. Del resto, una sostanza non ha vita se non viene chiamata in qualche maniera. Un bambino, dall’infanzia, impara a riconoscere le cose attraverso la maniera in cui vengono chiamate; ma è anche vero che riconosce la mamma, e non necessariamente ne sa il nome.
Quella, è pura reazione d’istinto.
Essenziale è conoscere le cose per nome ma viverle per istinto. Non mi importa sapere come si chiama la pianta bellissima che sboccia in giardino a primavera se non ho dentro di me l’amore per la sua cura. Non è importante osservare le esperienze vive e vissute se non si investe con e contro di loro, come un treno merci che si schianta contro un muro.
E’ molto più doloroso l’impatto col nulla che l’impatto, anche se bruciante, con il Vivo. E rimangono i segni, quelli di una lotta a volte leggera e per la maggiore spiazzante.
La tragicità non sta nello sbattere contro, nell’attraversare la propria vita, ma nell’attraversarla come un passante nella propria città di sempre: non la osserva più, non la vive a pieno, non ne sente più il profumo un tempo inebriante.

Ben altra cosa è invece la città con gli occhi del turista: come una vista dall’alto, il nuovo è in grado di emozionarci e di spingerci in fondo, con gli occhi viviamo la sensazione del volo, della prospettiva, da lontano seppure immersa di quella realtà.

Del resto l’essere umano è amante del nuovo. Cosa darei per vedere ogni istante, negli occhi di chi mi osserva, qualcosa di nuovo, qualcosa di emozionante, qualcosa di primitivo e di istintivo, qualcosa di vero.

La visione distorta di una mente contorta


Mi servirebbe capire cosa vuoi da me. Vorrei sapere che gusto provi nel frapporti fra la mia persona e la mia personalità. Che tu stia cercando di rubarmela? Di essere particolare non se ne parla.  Non si tratta nemmeno di bellezza, di presunzione o di orgoglio. Cosa vuoi, allora?
Arrivi, ogni secondo, e in ogni respiro metti in discussione ciò per cui ho tanto combattuto.
I miei sensi in allerta, i miei nervi infranti, le mie responsabilità buttate al vento. Che ne sarà dei sacrifici, delle mie battaglie, quelle perse e quelle vinte? E di quelle che ancora devo combattere?
La naturale differenza fra istinto e volontà, è molto più che la vitale prosecuzione del giorno e della notte, anche più semplice della differenza fra il nero e il bianco.
Inerme è la mia sofferenza, le braccia sono molli attorno al corpo in attesa di essere rinfrancate.

L’attesa, poi, è saturante e nervosa. Mi sembra di correre qua e là eppure sto ferma e non ho voglia di camminare. Vorrei correre ma soltanto per scappare, per nascondermi in un luogo ancora più deserto e desolato. E le gare, quelle fra i sensi di colpa e le gratitudini; mi sembra di essere un angelo in coda per l’Inferno.
Che terribile negazione, che disastrosa disaffermazione di me. Non so più parlare di concretezza, non so più accarezzarmi i capelli e dirmi che mi voglio bene, sentirli morbidi e abbandonati sotto le mie dita. Non riesco a comunicare un bacio senza labbra, attraverso gli occhi, e non riesco più a parlare senza farmi del male.
Mi sento un pesce, che affoga e boccheggia nell’acqua in cui è nato; che io abbia bisogno di aria dunque? Che stia diventando un pesce fuor d’acqua e fuori di me? Non lo so, e il peggio è che credo di sapere più cose di quelle in cui veramente credo.
Il gioco fra quello che è e quello che voglio si sta facendo davvero pericoloso e io ho paura, paura di scoprire che non è un gioco; sapere che è un sogno ma non riuscire a svegliarmi. Ho paura di abbandonare l’unica vela che mi potrebbe portare dritta sulla terraferma, perché in realtà sono confinata sopra un lembo di terra da cui è impossibile allontanarsi, da cui è semplicemente permesso scappare e non tornare mai più.
Ma perché, quindi, non rimango e la faccio fin(i)ta di dilaniarmi il cuore e il corpo?
Semplice, perché quel lembo di terra si chiama vita. L’isola felice da lontano, l’approdo dei desideri, il punto fermo delle paure e dei miei terrori, e di scappare non se ne parla.
Non si può.
Non si vede.
Non devo, non vedo.

Eccoci

Ho deciso, finalmente.
Mi avventuro nella scrittura di un Blog dove unire tutte le mie parole_viaggimentali_paranoie_frasisenzasenso.

Il nome del blog? Semplice, rappresenta ciò per cui è nato: il soggetto e le sensazioni.



Buon'avventura.